MOSUL

MOSUL
Regia di Matthew Michael Carnahan. Un film con Hayat Kamille, Thaer Al-Shayei, Waleed Elgadi, Anouar H. Smaine, Ben Affan. Titolo originale: Mosul. Genere Drammatico - USA, 2019.

di Giancarlo Zappoli
Iraq. Dopo che l'ISIS (lì conosciuta come Daesh) ha preso le loro case, famiglie e città, un gruppo di uomini lotta per riconquistarle. Basata su fatti realmente accaduti questa è la storia della squadra speciale di Nineveh: un'unità di ex poliziotti che conduce un'operazione di guerriglia contro l'ISIS tentando di salvare la città di Mosul.
Il colonnello Rayyan, uno dei due comandanti della squadra speciale di Nineveh, si è visto sparare addosso tre volte da uomini dell'ISIS. Gli hanno ammazzato due fratelli, ne hanno rapito un terzo, hanno ucciso i suoi cognati, bombardato la casa di suo padre e sparato a sua sorella durante la sua festa di fidanzamento. La sua è solo una delle storie dei componenti della SWAT di Niniveh.
Il film, girato solo con interpreti arabi, li segue in un'ultima azione per la liberazione di Mosul utilizzando come punto i riferimento un giovane poliziotto che viene aggregato, pur tra molte diffidenze, alla squadra.
In un'opera in cui le poche pause si inseriscono in sequenze d'azione che immergono lo spettatore nel clima della guerriglia urbana condotta senza risparmio di mezzi (dai kalashnikov ai droni esplosivi), veniamo posti di fronte a domande complesse. Quanto c'è nell'azione di questi uomini di spirito di vendetta e quanto invece di desiderio di impedire che avvenga ad altri ciò che a loro è accaduto?

Quando la giovane recluta afferma che faceva il poliziotto proprio perché non aveva famiglia suscita la riprovazione degli SWAT. Loro sono lì a rischiare la vita invece perché una famiglia ce l'hanno o ce l'hanno avuta. Se un canto partigiano recitava "Pietà l'è morta" anche qui ci viene mostrato come la ferocia degli appartenenti al sedicente stato islamico abbia prodotto azioni uguali e contrarie. Modalità di ripresa e di montaggio fanno sì che Mosul, che nasce dalle lettura di un articolo sul "New Yorker' Dedicato agli SWAT, ci faccia quasi percepire sensorialmente il sangue, sudore e lacrime che si accompagnano a conflitti in cui nessuno, civili compresi, viene risparmiato.

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